IMPUGNAZIONE ESTRATTI DI RUOLO

SENTENZA CHE LEGGITTIMA IMPUGNAZIONE ESTRATTO DI RUOLO DELL’OGGETTO DELLE CARTELLE DI PAGAMENTO

Giova premettere che l’articolo 3-bis del Decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla Legge 17 dicembre 2021, n. 215, novellando il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, articolo 12 (“Formazione e contenuto dei ruoli”), in cui ha inserito il comma 4-bis, ha stabilito non soltanto che «L’estratto di ruolo non è impugnabile», ma anche che Il perimetro dell’interesse alla tutela giurisdizionale è stato così ampliato, consentendo l’impugnazione diretta dell’estratto ruolo nei casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio (dimostrando l’interesse ad
agire):
 nell’ambito delle procedure previste dal C.C.I.I.;
 in relazione a operazioni di finanziamento da parte di soggetti autorizzati;
 nell’ambito della cessione dell’azienda.

Ebbene, per la Sezione tributaria della Corte di cassazione – ordinanza n. 6269/2025 -, la disposizione contenuta nell’art. 12 del Decreto di riordino del sistema nazionale della riscossione ha efficacia retroattiva, alla luce di quanto già stabilito dalle sentenze n. 26283/2022 e n.
12459/2024 delle Sezioni Unite della stessa Corte con riferimento all’art. 3-bis, D.L. n. 146/21.

Con l’ordinanza succitata, gli Ermellini hanno ribadito – in sostanza – che le condizioni di accesso dell’impugnazione diretta del ruolo e della cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata si applica ai processi pendenti, così andando a incidere sull’ammissibilità dei ricorsi già proposti. Questi, cioè, vanno dichiarati inammissibili se l’interesse prospettato dal ricorrente:
 non rientra nell’alveo dell’interesse giuridicamente rilevante a impugnare l’estratto ruolo di cui all’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 3-bis del D.L. n. 146/2021 e successivamente ampliato dall’art. 12 del D.lgs. n. 110/2024.
Alla luce di ciò, nel caso di specie la Suprema Corte ha respinto l’originario ricorso proposto da un contribuente, il quale aveva dedotto, quale interesse a impugnare l’estratto ruolo, l’iscrizione al P.R.A. del provvedimento di fermo amministrativo sul veicolo di proprietà.
Gli Ermellini hanno rilevato – appunto – che l’interesse prospettato con le memorie dalla parte ricorrente non rientra nell’alveo dell’interesse giuridicamente rilevante a impugnare l’estratto ruolo di cui all’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 3-bis del D.L. n. 146/2021 e successivamente ampliato dal Decreto sul riordino del sistema nazionale della riscossione.
Ne è conseguita la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza tuttavia l’addebito al ricorrente delle spese processuali, non avendo l’Ufficio intimato svolto attività difensiva nel giudizio di legittimità. La suddetta decisione è stata motivata da Cass., Sez. 5, n. 6269/2025 come segue:

[…] In relazione al D.Lgs. n. 215/2021 sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte, le quali, consentenza n. 26283 del 6 settembre 2022, hanno affermato il seguente principio di diritto: «In tema di riscossione a mezzo ruolo, il d.l. n. 146 del 21 ottobre 2021, art. 3-bis, inserito in sede di conversione dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica,concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non
notificata o invalidamente notificata».
Sotto altro versante, le Sezioni Unite hanno affermato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost.,quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della
Convenzione.
La disciplina in questione – specificano le S.U. – non è difatti irragionevole, né arbitraria. Essa asseconda non soltanto l’esigenza di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dall’emissione delle cartelle, e al cospetto dell’inattività dell’agente per la riscossione, ma anche quella di pervenire a una riduzione del contenzioso. In particolare, le finalità deflattive rispondono alla consapevolezza, già sottolineata dalla Corte costituzionale (in particolare con la sentenza 19 aprile 2018, n. 77), che, «a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera». Ciò, del resto, è coerente con la natura di atto meramente interno dell’estratto di ruolo, per la cui impugnazione il contribuente non ha uno specifico interesse, trattandosi di atto di per sé non “lesivo”, nel mentre, con riferimento alle cartelle di pagamento non notificate o invalidamente notificate, l’interesse sussiste unicamente allorquando tale situazione determini un concreto pregiudizio economico, come specificato dalla stessa norma.

  • La norma in questione, nel regolamentare le ipotesi di azione diretta (così come la definisce la stessa Corte), stabilisce quando l’invalidità della notificazione della cartella esattoriale provochi di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale, dimostrato dalla presenza dell’interesse ad agire che, quale condizione dell’azione, assume diverse configurazioni. Ne deriva che di questo interesse ad agire – che conforma il bisogno di tutela giurisdizionale – è necessario fornire una dimostrazione, che si può dare anche nel corso dei giudizi pendenti e che può essere allegato anche nel giudizio di legittimità. Né, secondo la Corte, possono ritenersi fondati i dubbi in merito alla prospettata intrinseca irrazionalità della norma stessa. Tali dubbi devono essere superati considerando l’ampia discrezionalità di cui il legislatore gode nell’ambito della disciplina del processo, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. A tale riguardo si rileva che la Corte costituzionale, con sentenza 17 ottobre 2023, n. 190, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 12, comma 4-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973,

n. 602, così come modificato dall’art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, rilevando come il rimedio alla situazione che si e prodotta per effetto della norma censurata coinvolga profili rimessi – quanto alle forme e alle modalità – alla discrezionalità del legislatore e non spetti, almeno in prima battuta, alla Corte medesima.

  • Le Sezioni unite di questa Corte di cassazione hanno quindi ulteriormente ribadito che «In tema di riscossione coattiva mediante ruolo, i limiti alla impugnabilità della cartella di pagamento, che si assuma invalidamente notificata e conosciuta solo attraverso la notificazione dell’estratto di ruolo, previsti dal comma 4-bis dell’art. 12 del D.P.R. n. 602 del 1973, inserito dall’art. 3-bis del d.l. n. 146 del 2021, conv. con modif. dalla Legge n. 215 del 2021, non comportano un difetto di tutela per il contribuente, grazie al riconoscimento di una sua tutela più ampia nella fase esecutiva e tenuto conto che, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 190 del 2023, i rimedi ad un eventuale vulnus richiedono un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12459 del 07/05/2024).
    • Non vi è dubbio che i medesimi principi trovino applicazione anche con riferimento alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 110/2024 – il cui art. 12 ha aggiunto le lettere d) ed e) all’articolo 12, comma 4- bis, D.P.R. 602/1973 – che si applica ai processi pendenti, poiché individua l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata, aggiungendo specifici casi in cui l’invalida notificazione della cartella ingenera di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale; in tal modo, detta norma, come la precedente già esaminata dalle S.U., ha plasmato l’interesse ad agire, condizione dell’azione avente natura “dinamica” che, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, fino al momento della decisione: la citata disposizione, dunque, incide sulla pronuncia della sentenza e si applica anche nei processi pendenti, nei quali lo specifico interesse ad agire deve essere dimostrato (con riferimento alla Legge n. 215/2021 si vedano Cass. 3/02/2023, nn. 3400 e 3425; Cass. 23/03/2023, nn. 8330, 8374 e 8377; Cass. 12/04/2023, n.

9765, Cass. 26/06/2024, n. 17606).

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